sabato 1 maggio 2010

1° maggio

E' la festa dei lavoratori, di quelli che costruiscono giorno per giorno la propria esistenza, senza garanzie, senza patrimoni alle spalle, sembre in bilico tra un minimo di benessere e la sventura della miseria o della malattia.
E' una categoria strana, come le vacche dei nostri territori, attaccate alla treggia da tirare, e la sera si mangiano quel pò di fieno che il padrone consente, a volte misto a paglia se l'inverno si prolunga, o anche solo per risparmiare. E quando la vacca è vecchia o zoppa la si vende al mattatoio, come si fa coi lavoratori non più produttivi che vanno in mobilità, cioè li si caccia con una pedata nel culo.
Già va bene se non ti mandano al macello della guerra, come ricordano i nostri nonni che videro privarsi dei figli (nostri padri) in un viaggio per il fronte spesso senza ritorno. Allora tutto crolla, anche quelle minime certezze in un Dio che non si sa più se è buono o cattivo a vedere quante miserie accadono, sempre ai soliti.
Allora non si ha solo un appetito quotidiano insaziabile, ma vedi scomparire compagni figli e fratelli che non fanno ritorno, e si rimane anche soli.
Poi ti tocca tirare la treggia più di prima perchè le macerie della guerra non le tolgono che i lavoratori.
Dicono che è la storia. Ma i lavoratori non cercano guerra, e dopo due secoli di promesse di un maggiore benessere, avrebbero diritto a vederlo e a viverlo come conquista perenne, e non come una fata che si nasconde ad ogni starnuto di chi lavoratore non è.
E la guerra non è solo quella fatta con i cannoni ma anche quella dei mercati e delle borse, come sanno bene i Greci in questi giorni.